CONTROLLA IL TUO PIEDE QUANDO ENTRI NELLA CASA DI DIO (Eccl., IV, 17) – Discorsi cristiani

Come tutto emana calma e pace nella casa di Dio! Quando vi si entra, sembra che si giunga con un solo passo da un luogo lontano e che si sia ad una distanza infinita dal rumore, dalle grida dagli schiamazzi, dai territori dell’esistenza, dalle tempeste della vita, dallo spettacolo degli avvenimenti crudeli o dalla loro attesa angosciosa. Qui, da qualsiasi parte tu volga lo sguardo, tutto ti ispira un sentimento di pacata sicurezza. Le alte mura dell’imponente edificio si innalzano massicce; proteggono solidamente il sicuro rifugio sotto le cui possenti volte ti senti libero da ogni incubo.

E la magnifica bellezza di quanto sta intorno vuole renderti ogni cosa piacevole e avvincente; si direbbe che questo splendore voglia interiorizzare in te questo santuario ricordandoti – lo si deve proprio supporre – le epoche di serena prosperità che hanno favorito questi lavori pacifici. Osserva: lo scultore che ha modellato queste statue nella pietra vi ha dedicato gran tempo, durante il quale la sua vita dovette essere protetta e salvaguardata contro ogni importuno e ogni incidente che avrebbe potuto rendere incerta la sua mano o il suo pensiero; artista, gli ha avuto bisogno della calma più profonda, della pace che si riflette pure in questa sua opera. Osserva: l’artigiano che tessuto i velluti del pulpito ha avuto bisogno di calma per questo lavoro che si compie nei giorni di prosperità e di pace, ma che è superfluo in tempo di guerra. E l’operaia che ha ricamato senza essere minimamente distratta, tutta presa dal pensiero e dalla cura di porre l’identica in ogni punto del suo ago.

Perché entrarvi è una grande responsabilità. Ricorda che questa è la casa di colui che nei cieli – e tu, tu sei sulla terra – ma non credere che, nella sua altezza, Egli sia molto lontano; la cosa seria, la responsabilità quindi, è che Dio, infinitamente alto, è vicinissimo a te, più vicino che non gli uomini che ti circondano quotidianamente, più del tuo più intimo amico, quello al quale ritieni di poterti mostrare quale sei. L’altezza e la lontananza sembrano corrispondersi: l’uomo collocato in alto è pure lontano da te; l’eguaglianza e la vicinanza sembra vadano di pari passo: il tuo prossimo è anche tuo uguale; ma quando l’altezza ti è vicinissima senza cessare di essere altezza, allora ti trovi in una situazione difficile. Ma Dio, l’infinitamente alto, nella casa di Dio ti è vicinissimo nella sua altezza; perché per lui non è come per un uomo che, in fondo, perde parte della sua altezza quando si avvicina a te, l’umile, e si compromette con te; no, Dio può venire vicinissimo al più umile pur rimanendo nella sua altezza infinita.

Che argomento serio l’eternità! Che situazione difficile! Perché, non è vero?, basta che uno straniero ti si trovi vicino e non sei più lo stesso; quando ti è accanto il potente e il più elevato personaggio del regno, tu sei completamente diverso: la sua condizione è elevatissima, e tu lo vedi tanto raramente! Ma Dio in cielo si trova a ben altra altezza infinita egli ti è vicinissimo, più vicino che non tu stesso, perchè scopre e capisce anche quei tuoi pensieri che tu stessi, non perché scopre e capisce anche quei tuoi pensieri che tu non comprendi. Che pesante responsabilità! Il Dio altissimo, davanti al quale tu vorresti mostrarti sopratutto nella tua luce migliore, è vicinissimo a te malgrado la sua altezza e ti vede; ed è così vicino, malgrado la sua altezza, che ti vede come non saprebbe vederti un familiare. Anche se, sapendo di essere alla presenza dell’Altissimo, tu, cercassi di mostrarti sotto una luce diversa, non lo potresti fare, perché Egli è infinitamente troppo alto e – ciò che è la stessa cosa – anche troppo vicino a te. Se un uomo può confondersi e dimenticare alla presenza del re quel che voleva dire, è certo più terribile essere messo alla presenza di Dio, perché il re non si trova all’altezza di Dio e non può venirti altrettanto vicino.

Fai dunque attenzione quando entri nella casa di Dio. Perché ci veni? Tu vuoi invocare il Signore, tuo Dio, lodarlo e glorificarlo. Ma è realmente il vero motivo? Quando si esige la franchezza, lo sai , non sappiamo rivolgere a un uomo parola più solenne di questa: davanti a Dio, è questo il tuo pensiero, la tua convinzione? E, nella casa di Dio, tu sei davanti a Dio. Lo invochi dovunque con sincerità? Che cosa significa essere sincero davanti a Dio? E’ tradurre le tue parole nella tua vita. Quanto a noi, uomini, ci dobbiamo contentare di meno: dell’assicurazione solenne che uno dà all’altro che quel pensiero, in tutta lealtà, esprime ciò che dice. Ma in cielo, nella sua infinita altezza , Dio che conosce i cuori ed è vicinissimo a te, pretende una sola sincerità; quella in cui l’uomo mette in pratica nella sua vita le proprie parole. Ogni altra sincerità, ogni altra veramente cil che si dice, davanti a Dio è un inganno, una falsità; una simile invocazione di Dio è temerarietà nei suo riguardi. Bada dunque che la tua invocazione, lungi dall’essere gradita a Dio, non sia, al contrario, un affronto a Lui. Ingannato da re stesso per non esserti compreso, fai attenzione a non essere tanto temerario da ingannare Dio, come se tu avessi in cuore sentimenti di pietà capaci di mutare la tua vita e di esprimerli, quando invece invece non hanno tale potere. Noi ci lamentiamo spesso di non aver parole per esprimere i nostri sentimenti, di cercarle invano, di venir traditi dalla lingua: tutti ciò non ti deve confondere davanti a Dio; basta che tua vita dimostri che tu non questi sentimenti e allora tu sei sincero davanti a Dio, e la sincerità del cicaleccio è completamente superflua.

Forse tu vieni alla casa di Dio per chiedergli aiuto ed appoggio. Bada a ciò che fai; hai davvero capito davanti a Dio a chi ti rivolgi, che cos’è l’invocazione del suo aiuto, a che cosa ti obbliga questo? Forze lo invochi per cose di questo mondo, preoccupazioni puerili, inezie, e non perché ti aiuti a dimenticarle, ma per occupartene; per futilità, dunque che domani forse avrai dimenticato insieme, il che è meno lieve, con la tua invocazione dell’Altissimo, del quale hai chiesto l’aiuto: in tal caso ti sei burlato di Dio ed egli non dimentica che tu hai chiesto la sua esistenza. Se un medico si impazientisce, a buona ragione, quando lo si manda a chiamare senza motivo per il minimo malanno scomparso al suo arrivo, e scomparso in modo tale che si è quasi dimenticato il motivo per cui lo si era mandato a chiamare, credi che Dio, l’onnipotente, si lascerebbe trattare allo stesso modo? Oppure, avresti il coraggio di pensare che Dio debba servirti, che l’Altissimo debba essere pronto ad ascoltare immediatamente le tue preghiere e ad esaudire i tuoi desideri? Se tu ti affidi a lui, allora obblighi incondizionatamente ad obbedirlo e a servirlo. Se non capisci questo, il tuo affidarti a lui e la tua supplica di aiuto è temerarietà. Egli è l’Onnipotente, certo e può tutto ciò che vuole. Questo pensiero è seducente e sembra che tu non abbia da fare altro che desiderare. Ma attenzione, nessuna parola sconsiderata si vendica quanto una preghiera sconsideratamente rivolta a Dio il suo aiuto; perché essa ti obbliga a lasciarti incondizionatamente soccorrere così come egli vuole. Tu puoi chiedere aiuto a un uomo e avere dimenticato a quale proposito l’hai chiesto quando egli te lo procura, e dire allora: <<Non è quello che avevo chiesto>>: ma se hai invocato il soccorso di Dio, sei legato e tenuto ad accettare quello che egli ti vuole concedere. Molto spesso si sente invocare aiuto e poi affermare che aiuto non c’è. In verità, ce n’è sempre a sufficienza, ma il cuore dell’uomo è pieno di astuzie ed poco incline a mantenere la parola data; uqando l’aiuto si rivela come la cosa che più si tenuto di ricevere, si grida: <<E sarebbe questo l’aiuto?>> Ma se questo aiuto viene da Dio e se glielo hai chiesto tu, allora sei obbligato ad accettarlo e a definirlo un aiuto, credendo e rendendo grazie.

O forse ti rechi nella casa di Dio per obbligarti, – facendogli promesse, – a disegni, a progetti per l’avvenire? Bada a ciò che fai. Ti sei reso conto che cosa significa una promessa fatta a Dio? Hai meditato se ciò che gli prometti è cosa che un uomo può e deve promettergli, e non una di quelle che possiamo prometterci tra di noi, illudendoci a vicenda? Hai capito se è Dio che ti permette di fargli questa promessa, o se si tratta invece di un atto temerario? Hai capito in qual modo ti obbliga una promessa a Dio? <<Una promessa è una trappola>>, si dice, ed una promessa a Dio? <<Una promessa è una trappola>>, si dice, ed una promessa a Dio, se è quale deve essere e se viene mantenuta, è così lungi dall’essere una insidia che risulta invece un sostegno di salvezza: ma nel caso contrario, se no l’hai capito nella tua promessa a Dio, se non hai l’idea vera di ciò che puoi e devi promettergli, allora tu perdi Dio, abitui la tua anima a trattare Dio e il nome di Dio alla leggera e invano. E ce nè sempre uno che l’uomo non può fuggire: se stesso; e un altro ancora: Dio in cielo!

Fai dunque attenzione quando entri nella casa di Dio, medita le parole dell’Ecclesiaste: <<Non avere fretta di aprire bocca, e che il tuo cuore non si affretti ed esprimere una parola davanti a Dio; perché Dio è in cielo, e tu sulla terra. Quando fai un voto a Dio, non tardare a compierlo, perché Egli non ama gli insensati: compi il vero che hai fatto. Meglio per non fare promesse, che farne e non mantenerle>> (Eccl., V, 1-4)

 

Controlla il tuo piede quando entri nella casa di Dio. In questa casa forse imparerai molto di più di quanto non desideri; forse vi riceverai un’impressione della quale cercherai poi di rifarti invano. Fai dunque attenzione al fuoco, perché brucia.

Si sente continuamente dire – e il mondo lo ritiene cosa certa – che gli uomini vorrebbero veramente istruirsi nella verità, a condizione di averne il tempo, i mezzi ed una chiara spiegazione. Che preoccupazione inutile, che astuto sotterfugio! In verità, ogni uomo ha sufficiente intelligenza per conoscere la verità: Dio non potrebbe avere svantaggiato qualcuno con tanta inumanità! Ed ogni uomo, anche il più occupato, ha veramente tempo sufficiente per istruirsene; nulla di più certo, poiché egli deve averne il tempo; e se l’indaffarato, come lo sfaccendato, non ne hanno abbastanza a tale scopo, non certo per questo di deve vedervi la prova contraria! E poiché ciascuno ha capacità e tempo sufficienti, va da sè che non dovrebbe essere difficile metter bene in luce la verità  – se l’uomo vuole che lo si faccia. Ma la difficoltà è proprio qui: si fa così presto a dar la colpa alla mancanza di tempo, di capacità, e all’oscurità della verità; d’altra parte, è tanto vantaggioso e comodo dire che ci piacerebbe tanto istruirci nella verità.

Ma non è così. Per poco che ci si conosca, si sa per esperienza che, on realtà, l’uomo nasconde nel proprio fondo un’angosciosa ed una segreta paura della verità, un timore di imparare troppo: o tu credi davvero che ogni uomo abbia il desiderio sincero di sapere in modo veramente proficuo che cosa è la rinuncia a se stesso,  di sapere in modo veramente proficuo che cosa è la rinuncia a se stesso, di averne un’idea così chiara al punto che ogni scusa, ogni scappatoia, ogni palliativo, ogni ricorso al falso giuramento gi siano tolto? Lo credi? Certo, non ho bisogno di aspettare la tua risposta; perché se fosse così, ogni uomo avrebbe veramente dello spirito di rinuncia, poiché questa ne è proprio la prima forma. Ma anche l’uomo provo, il quale ha superato quel primo spavento che la verità ispira e che non ripugna del tutto con uno spirito mondano a istruirsene, anche egli confessando sinceramente e per esperienza la cattiva volontà a informarsene, anch’egli, ed egli sopratutto, ammetterà a colpo sicuro che tante volte, e abbastanza spesso non senza motivo, si sorprende a nascondersi alla verità come Adamo tra gli alberi, a sottrarsi a una cosa per introdursi in un’altra, a nutrire il desiderio di ficcarsi in una penombra crepuscolare, piuttosto di vedere la verità spandere una luce troppo forte attorno a lui.

Fai dunque attenzione quando entri nella casa di Dio, perché vi sentirai la verità – per tua edificazione, si è vero; ma fai attenzione a ciò che edifica; niente è altrettanto dolce, ma neppure altrettanto tirannico. Ciò che edifica: questa parola è meno vana di qualsiasi altra parola vana; nessuna vincola allo stesso modo. E nella casa di Dio imparerai la verità non del prete, – all’influenza del quale puoi anche facilmente sottrarti, in un certo senso – ma da Dio stesso, al cospetto di Dio. La gravità del vero, la verità, è proprio che tu te ne istruirci davanti a Dio; ciò di cui essenzialmente si tratta è questo: davanti a Dio. Nella sua casa c’è uno che sa con te che tu, proprio tu, hai imparato la verità. Fai attenzione a questa conoscenza che gli ha di te; mai più sfuggirai per tornare all’ignoranza, cioè senza rendertene colpevole, e non sfuggirai neppure alla conoscenza di questa colpa.

Bada dunque di non imparare troppo; per esempio ì, che quella sicurezza che nella vita trascorsa nei piaceri ti ha reso piacevole ai tuoi stessi occhi e amabile a quelli degli altri, quella sicurezza per la quale tu saresti dispostissimo a istruirti nella verità è un’illusione e, ciò che è peggio, una falsità. Fai attenzione, nella casa di Dio, a non imparare – ma, lo sai, il tuo grande sapere ti innalza forse al di sopra dei poveri predicatori che vogliono parlare di cose tanto annose note anche ai piccoli – in modo tale da capirlo, che ti può venire chiesto di rinunciare a te stesso e di abbandonare tutte quelle cose in cui l’uomo colloca la sua vita, il suo piacere e il suo passatempo. Non ti sei mai chiesto cosa è il disgusto della vita? Hai pensato che esso appare proprio quando tutto il mondo finito viene tolto ad un uomo mentre egli conserva tuttavia la vita, in maniera che tutto diventa deserto, vuoto e insopportabile intorno a lui, e il tempo così terribilmente lungo che gli sembra di essere morto? Ebbene, p cioè che la rinuncia chiama morire a sé. E la verità insegna che l’uomo deve morire al mondo finito (ai suoi piaceri, alle sue occupazioni, ai suoi esercizi, alle sue distrazioni), che egli deve passare attraverso questa morte della vita, che deve gustare (nel senso di gustare la morte) e capire tutti il vuoto di ciò il cui agitarsi riempe la vita, tutta la poca importanza di ciò che costituisce il piacere degli occhi e la bramosia del cuore carnale. L’uomo naturale, purtroppo!, capisce il contrario: per lui l’eterno è il vuoto. Nessun istinto umano ha la forza dell’istinto di conservazione; quando viene la morte, noi chiediamo la grazia di vivere, ma la morte a se steso imposta della rinuncia è amara quanto la morte fisica. E nella casa di Dio imparerai questa verità: che tu devi morire al mondo; e se Dio ha saputo che tu l’hai imparato (ed è inevitabile), nessun sotterfugio ti giustificherà per tutta l’eternità. Fai dunque attenzione quando entri nella di Dio.

 

Controlla il tuo piede, quando entri nella casa di Dio, perché se tu ci vivessi, pieno di terrore, per sfuggire le cose più terribili che quaggiù possono toccare ad un uomo, tu verresti tuttavia a ciò che è ancora più terribile. Qui, nella casa di Dio, si tratta essenzialmente di un pericolo ignorato dal mondo e accanto al quale tutto ciò che il mondo chiama pericolo è una puerilità: il pericolo del peccato. E qui nella casa di Dio, si tratta sopratutto di un terrore che non è mai stati sperimentato né prima né dopo, ed in confronto al quale la casa più spaventosa che possa succedere al più disgraziato di tutti gli uomini è un’inezia: il terrore dell’umanità che crocifigge Dio.

Che cosa vuoi dunque nella casa di Dio? Ci vien spinto dalla povertà, dalla malattia, da ogni altra avversità, angoscia e miseria di quaggiù? Non c’è da parlarne nella casa di Dio almeno all’inizio. Vi si parla e vi si deve parlare, in primo luogo, del peccato, di te come peccatore, e peccatore davanti a Dio; di te che, nel timore e nel tremore che questo pensiero ti ispira, devi dimenticare la sua miseria terrena. E’ davvero un modo di consolare! Sei venuto qui perché ci si informi con simpatia della tua salute, per ricevere consigli e suggerimenti? Ti sei ingannato, sei venuto a cose ben terribili. Perché, invee di dimostrarti simpatia per la tua miseria terrena e di affrettarsi a rimediare a questo stato di cose, un fardello ancor più pesante ti viene imposto: tu diventi un peccatore. E qui si dice allora – e in verità per tua edificazione – che c’è una salvezza per i peccatori e una consolazione per coloro che si pentono. Ma forse tutto ciò non riguarda te, che sei venuto qui unicamente preoccupato della tua sofferenza terrena. E tuttavia, ciò riguarda anche te; invano potresti sostenere il contrario; invano vorresti andartene: ciò ti è stato detto, Dio lo sa con te, e sa che tu l’hai sentito! Che cosa vuoi dunque nella casa di Dio? Forse hai subito l’ingiustizia; può darsi che tu sia innocente, degno di stima, e tuttavia, gli uomini ti hanno indegnamente ingannato; può darsi che tu sia un animo generoso, un galantuomo, che un giorno tu sia elencato fra i benefattori dell’umanità; e tuttavia in compenso, può darsi che gli uomini ti abbiano escluso della loro società, maltrattato, deriso, insultato, che abbiano attento alla tua vita; e tu vieni a cercare a consolazione nella casa di Dio. Chiunque tu sia, ti inganni, perché qui tu vieni a cose bene più terribili! Qui, nella casa di Dio, non si tratta, almeno per prima cosa, di te e di me, di quel poco di ingiustizia che noi possiamo subire in questo mondo e che abbiamo in altra maniera ben meritato. No, qui, nella casa di Dio, si parla fin da principio di un terrore del quale non si è mai visto l’uguale e del quale non si vedrà mai l’equivalente per l’avvenire nella confusione del mondo. Vi si parla di un’ingiustizia che grida vendetta al cielo, mai commessa in precedenza come mai non lo sarà in seguito; vi si parla di quella ribellione più terribile del più furioso scatenarsi delle onde, quando l’umanità si è travolta contro Dio; non impotente come al solito, ma quando, in qualche modo vittoriosa, essa si è impadronita di lui e lo ha crocifisso. Si inganna dunque chi, dai terrori dell’esterno, si rifugia qui per trovare un terrore ancor più spaventoso. Ma è ciò di cui si deve parlare immediatamente. La figura di nostro Signore Gesù Cristo deve essere rievocata non alla maniera dell’artista che trova e si concede il tempo di presentarla, non distaccandola dalle circostanze spaventose per isolarla e farne l’oggetto di una tranquilla contemplazione. No, egli deve venir mostrato del momento del pericolo e della paura, quando di sarebbe stati colpevoli di guardare Cristo con adorazione o semplicemente con carità, quando non c’era niente da vedere se non il condannato: <<Ecco l’uomo>>; quando non era neppure possibile vederlo, perché la paura ghiacciava lo sguardo. E la sofferenza di Cristo non deve venire presentata come ormai trascorsa: sorveglia la sua compassione! No, questo terrore è una cosa presente e tu assisti, ed io assisto ad un avvenimento presente, e un qualità di complice!

Ma allora, ti sei ingannato venendo alla casa di Dio. Invece di sentir parlare di una consolazione capace di consolarti dell’ingiustizia subita, invece di ricevere soddisfazione contro gli uomini che ti fanno torto, sei tu che vieni dalla parte del torto, proprio tu, l’innocente che viene perseguitato, insultato, trattato ingiustamente! Una colpa urlante è collocata sulla sua coscienza: anche tu sei complice della sofferenza e della morte di Cristo innocente. Oh! che data parola di consolazione! chi può capirla? Che rude maniera di strapparti ai tuoi e tristi pensieri: ti si dà un argomento ancor più terribile di pianto.

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